domenica 3 luglio 2011

Bisignani, chi?






Per chi, come me, non ha avuto tanto tempo per seguire i recenti sviluppi 

politico-giudiziari (vedi inchiesta P4 e compagnia) è stato molto utile leggere 

i due articoli che vi allego, comparsi sul Fatto Quotidiano un anno fa e nei 

primi mesi di quest'anno, quindi prima di inchiesta ed arresto di Bisignani.

Nel primo si capisce bene cosa ha fatto costui a partire dai tempi della P2, 

prima di venire ai (dis)onori delle cronache; nel secondo ci sono chiavi di 

lettura interessanti degl attuali scontri "politici" (si fa per dire...). 

Nel'insieme il quadro avvilente è quello di un Paese governato da piccoli 

gruppi di potere occulto che davvero chiamare lobby è un complimento..

ENRICO





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Luigi Bisignani, l'uomo che collega

Ai bei tempi della P2 era una promessa. Mantenuta: oggi, a un passo da Gianni Letta, conta più di un ministro. È il punto di collegamento alto tra lobbisti della P3, uomini della cricca, personaggi della banda larga di Finmeccanica.

Il Fatto quotidiano, 24 luglio 2010

di Gianni Barbacetto

Non troverete il suo nome nelle carte giudiziarie delle tante inchieste in corso sugli scandali di questa caldissima estate 2010. Eppure è il nome che le collega tutte. Non parliamo di responsabilità penali, che son faccende da magistrati. Ma di rapporti, contatti, relazioni. Chi è l'uomo che unisce, a un livello alto, lobbisti della "nuova P2", uomini della "cricca", personaggi della "banda larga" di Finmeccanica? Luigi Bisignani è un punto di convergenza. Certo, definirlo "consulente di palazzo Chigi" è impreciso da un punto di vista formale. E non è bella neppure la battuta che circola a Roma, secondo cui Bisignani è stato nominato da Silvio Berlusconi sottosegretario di Stato per interposta persona (in realtà sulla poltrona di sottosegretario è seduta la sua compagna, Daniela Santanché). Eppure Bisignani è, di sicuro, uomo dalle molteplici relazioni, incrocia mondo imprenditoriale e mondo dell'informazione, controlla tante persone, collega molti ambienti. Ed è ascoltatissimo da Gianni Letta, tanto da essere oggi certamente più influente di un sottosegretario.

Non ama apparire. A differenza di tanti altri animali del circo berlusconiano, ritiene che l'esibizione sia, oltre che di cattivo gusto, anche nemica del potere vero. Così, lui che ha tanti amici fedeli nei giornali e nelle società di pubbliche relazioni (quelle che contano), non li attiva mai per una citazione, per una notizia su di sé. Anzi, è difficile trovare negli archivi perfino qualche sua fotografia da pubblicare. È ben altro quello che chiede, quello che ottiene.

Al piano inferiore del caos italiano si muovono bande, cricche e logge, poi subito derubricate, raccontate come l'agitarsi di "tre pirla", "quattro sfigati", improbabili "amici di nonna Abelarda". Al piano di sopra, al riparo da rischi e incursioni giudiziarie, almeno per ora, stanno i registi e gli utilizzatori finali. Bisignani è personaggio di grande simpatia, dalla mente lucida e dall'intelligenza rapidissima. Scrive romanzi gialli e parla, oltre che con Letta, con Angelo Balducci, con Guido Bertolaso, con Denis Verdini, con Pier Francesco Guarguaglini, con Cesare Geronzi...

Ha un certo know-how. Ha sempre negato l'appartenenza alla P2, quella classica, eppure le carte e la tradizione orale gli attribuiscono la tessera 1689 e la qualifica di reclutatore. Nel 1981, quando Giuliano Turone e Gherardo Colombo scoprirono a Castiglion Fibocchi gli elenchi della loggia segreta di Licio Gelli, il ragazzo aveva solo 28 anni. Brillante giornalista dell'Ansa, precoce capoufficio stampa del ministro del Tesoro Gaetano Stammati (piduista) nei governi Andreotti degli anni Settanta. Era una giovane promessa. Mantenuta: dieci anni dopo ha attraversato la stagione di Mani pulite solo con qualche fastidio in più. Una condanna (3 anni e 4 mesi per aver smistato la maxitangente Enimont, ridotti in Cassazione a 2 anni e 8 mesi) che dimostra che il ragazzo, nel 1993, a 40 anni, potente responsabile delle relazioni esterne del gruppo Montedison, era cresciuto. Anche in abilità e coperture, visto che il peggio di quella stagione resta ancor oggi segreto. Qualcosa ha raccontato Gianluigi Nuzzi nel suo libro "Vaticano Spa". Negli anni Novanta, infatti, zitto zitto Bisignani manovra una gran quantità di soldi parcheggiati in Vaticano. Con l'aiuto di monsignor Donato de Bonis, già segretario di Paul Marcinkus, cardinale e indimendicato compagno di scorrerie dei bancarottieri Michele Sindona e Roberto Calvi. L'11 ottobre 1990, dunque, Bisignani apre, con 600 milioni in contanti, un conto riservatissimo presso lo Ior . È il numero 001-3-16764-G intestato alla Louis Augustus Jonas Foundation (Usa). Finalità: "Aiuto bimbi poveri".

"Bisignani ha ottimi rapporti con lo Ior da quando si occupava di Calvi e dell'Ambrosiano", raccontò poi de Bonis in un'intervista. "La sua è una famiglia religiosissima; suo padre, Renato, un alto dirigente della Pirelli scomparso da anni, era un sant'uomo, la madre, Vincenzina, una donna tanto perbene. Bisignani è un bravo ragazzo. L'Istituto si occupa di opere di carità e gli amici aiutano i poveri, quelli che non hanno niente. Anche il sarto Litrico mi diceva 'io vesto i ricchi per aiutare i poveri'".

I bimbi poveri, in realtà, non ebbero gran giovamento dai soldi della Jonas Foundation. Il 23 gennaio 1991, de Bonis si presenta allo Ior con quasi 5 miliardi di lire in titoli di Stato, li monetizza e suddivide il ricavato su due conti: 2,7 miliardi sul deposito dell'amico Bisignani, mentre quasi 2,2 li accredita sul conto Cardinale Spellman, che gestisce in proprio e per conto di "Omissis", come viene chiamato in Vaticano Giulio Andreotti. Dal conto Spellman parte subito un bonifico da 2,5 miliardi al conto FF 2927 della Trade Development Bank di Ginevra: è la prima tranche della supermazzetta Enimont, "la madre di tutte le tangenti", che andrà a irrorare, a pioggia, i partiti politici italiani per benedire il divorzio di Stato tra Eni e Montedison.

Nel giro vorticoso della lavanderia vaticana, sul deposito Jonas Foundation di Bisignani entrano 23 miliardi. E lui, fra l'ottobre 1991 e il giugno 1993, ne ritirerà in contanti 12,4. Che l'uomo sia sveglio lo si capisce già nell'estate del 1993, quando annusa il disastro (i magistrati di Mani pulite stanno per arrivare alla maxitangente Enimont): così il 28 giugno di quell'anno corre allo Ior, ritira e distrugge i documenti che vi aveva lasciato all'apertura dei conti e chiude il Jonas Foundation. Ritira, in contanti, quel che resta: 1 miliardo e 687 milioni. Non avendo borse abbastanza capienti, deve fare due viaggi per portar via il malloppo. Un mese dopo è latitante. È il momento più nero di Mani pulite. Tre protagonisti della vicenda Enimont muoiono in circostanze drammatiche: il presidente dell'Eni Gabriele Cagliari con un sacchetto di plastica in testa in una cella di San Vittore; il regista sconfitto dell'operazione Enimont, Raul Gardini, con un colpo di calibro 7,65 nella sua dimora milanese; il direttore generale delle Partecipazioni statali, Sergio Castellari, con il volto spappolato nella campagna romana.

Tanti conti non tornano, in questa storia. Anche quelli dei soldi. La tangentona Enimont, rivelano i documenti vaticani messi a disposizione da Nuzzi, era ben più grossa di quella individuata dai magistrati di Mani pulite. E molti personaggi sono stati coperti dai silenzi vaticani. Tra questi, l'ineffabile "Omissis". Almeno 62 miliardi sono stati nascosti, si sono volatilizzati. E di questo tesoro rimasto segreto, 1,8 miliardi sono passati sul conto di Bisignani.

Quattordici anni dopo, un altro magistrato bussa alla sua porta. Si chiama Luigi De Magistris, alle prese con l'inchiesta Why not. Sta indagando su un comitato d'affari attivo in Calabria, ma con la testa a Roma. È convinto che sia organizzato come un'associazione segreta, una nuova P2, tanto che contesta ai suoi indagati proprio il reato previsto dalla legge Anselmi. È convinto che Bisignani di questa nuova P2 sia uno dei punti di riferimento. Il 5 luglio 2007 si presenta di persona, a sorpresa, ai suoi indirizzi romani, l'abitazione e la sua azienda Ilte (Industria Libraria Tipografica Editrice) di piazza Mignanelli. Ha un mandato di perquisizione. Bottino scarso: qualche documento e un Blackberry 7230 blu. "Ho avuto l'impressione che fosse stato avvertito: lui era volato improvvisamente a Londra", dice oggi De Magistris. "Dopo quella perquisizione, le manovre contro di me hanno un'accelerazione. Due mesi dopo mi sottraggono l'indagine".

Di Why not restano oggi soltanto i rapporti accertati degli indagati. Bisignani, per esempio, era in contatto con molti politici, imprenditori, manager, uomini degli apparati. Tra questi, Clemente Mastella, allora ministro della Giustizia, Walter Cretella Lombardo, potente generale della Guardia di finanza, Salvatore Cirafici, il dirigente di Wind responsabile della gestione delle richieste di intercettazioni e tabulati inviate all'azienda telefonica   da tutte le procure italiane.

Oggi, tre anni dopo, nuova indagine, nuovo comitato d'affari, nuova P2. Luigi Bisignani resta a guardare, dall'alto. Ha visto sbriciolarsi la Prima Repubblica, la Dc, il Psi. Non s'impressiona certo per la decomposizione del berlusconismo.  



L’uomo dei segreti tra tangentopoli, santi e Santanchè

Sabato 05 Marzo 2011 21:08

Il potere invisibile di B. Nel senso di Bisignani, non Berlusconi. Una sorta di B2, che suona bene perché il cinquantasettenne Luigi Bisignani detto Gigi nella Prima Repubblica aveva la tessera numero 1689 della loggia P2 del Venerabile Licio Gelli. Allora, Bisignani era un giovane andreottiano che bruciava le tappe. Giornalista promettente dell’Ansa entra nel Palazzo come capoufficio stampa di un ministro democristiano, Gaetano Stammati. La sua rete politica si estende all’industria e alla finanza. Collabora con Raul Gardini e la Ferruzzi. ConosceCesare Geronzi. Ma l’ancièn regime del pentapartito finisce male anche per il potente Bisignani. Latitante e arrestato due volte per la maxi-tangente Enimont transitata sui conti vaticani dello Ior.



Fin qui la sua prima vita. Per la seconda, un velo è alzato nel luglio del 2008 da un’intervista a Repubblica di Giuliano Tavaroli, l’ex capo della security di Telecom accusato di dossieraggio illecito. Tavaroli parla dei suoi rapporti romani e dice: “Mi immagino una piramide. Al vertice superiore Berlusconi. Dentro la piramide, l’uno stretto all’altro, a diversi livelli d’influenza,Gianni Letta, Luigi Bisignani, ScaroniCossigaPollari. È il network che, per quel che so, accredita Berlusconi presso l’amministrazione americana. Io non esito a definire questa lobby un network eversivo che agisce senza alcuna trasparenza e controllo. Mi resi conto subito che quella lobby di dinosauri custodiva segreti (gli illeciti del passato e del presente) e li creava”.



Attenzione alle date. Nel 2008 ancora non sono esplosi gli scandali sessuali del Caimano. La situazione si ribalta del tutto nella primavera successiva del 2009. Il Cavaliere va a Casoria alla festa di compleanno di Noemi LetiziaGianni Letta confida ai suoi amici, sconsolato: “Uno statista non può andare a una festa a Casoria”. Nell’inner circle del premier inizia l’era delle congiure per un’eventuale transizione di emergenza. A scontrarsi sono due filiere di poteri forti. Una è quella descritta da Tavaroli, con Letta e Bisignani, l’Eni di Scaroni, i Servizi. Custodire segreti. Oppure crearli. Qualcuno la chiama la “Ditta”. Nei palazzi romani il nome più sussurrato è quello di Bisignani, ufficialmente solo un stampatore con studio a piazza Mignanelli. Il leghista Roberto Calderoli aggiunge un altro tassello, quando si sfoga per il ministero breve del suo amico Aldo Brancher, a suo dire vittima di un linciaggio mediatico: “Certi poteri forti giudicano male la politica che decide senza il loro permesso. E il Corriere della Sera è il terminale di queste manovre”. Ed è proprio il quotidiano di Ferruccio de Bortoli, esattamente un anno fa, a essere protagonista di un giallo. Un editoriale di Ernesto Galli della Loggia sul “Pdl partito fantasma” viene tolto dalla pagina e poi ripubblicato il giorno dopo per stroncare sospetti. A sorpresa, Della Loggia istituzionalizza lo scontro in atto: “È dalla famigerata notte di Casoria, che le maggiori insidie vengono a Berlusconi e al suo governo non già dall’opposizione ma proprio dalla sua stessa parte, se non addirittura dalle stesse cerchie a lui più vicine. Dalla primavera dell’anno scorso si stanno ordendo a ripetizione intrighi, organizzando giochi e delazioni, quando non vere e proprie congiure (non mi riferisco certo all’azione del presidente Fini, il quale, invece, si è sempre mosso allo scoperto), allo scopo di trovarsi pronti, con i collegamenti giusti, quando sarà giunto il momento, da molti dei cortigiani giudicato imminente, in cui l’Augusto sarà costretto in un modo o nell’altro a lasciare il potere”. Avversario della “Ditta” di Letta e Bisignani è il cartello di Giulio Tremonti, che ha buoni rapporti con la Lega ma fa sponda con il finanziere bianco Giovanni Bazoli per arginare dentro Rcs Cesare Geronzi, incluso nella filiera romana.



I due fronti si danno battaglia su tutto: dalla potenziale transizione alla gestione corrente di nomine e appalti. La “Ditta” è bersagliata da più parti. Letta viene azzoppato dalle inchieste sulla cricca di Bertolaso e Anemone, anche se non usciranno mai le temute intercettazioni sul suo conto. Prima ancora viene accusato dai falchi del Pdl sulle falle nella rete di sicurezza delle residenze del premier. Ma tocca ancora al leghista Calderoli sparare un nuovo attacco sulle congiure della “Ditta” ed evocare le elezioni anticipate per sventarle: “Quando i leader di una maggioranza lo decidono si va alle urne. E così si dà una lezione ai viscidoni che anche all’interno del governo mantengono ambigue connivenze coi poteri forti. Ce n’è uno in particolare, ma non è il solo, ce ne sono dieci-venti che hanno la coscienza sporca. Chi deve capire capisce. Ma stia certo il Gran Visir dei poteri forti: non l’avrà vinta”. Il ministro Brunetta gli dà manforte e arriva a parlare di “élite di merda che preparano un colpo di Stato”. Lo stesso Berlusconi fa riferimento a “un’entità esterna” che lavora contro il governo. Qualche giorno dopo, sarà il suo fedele Confalonieri a dare l’interpretazione autentica: “Ovunque l’opposizione tenta di far cadere i governi; la differenza è che in Italia l’opposizione non la fanno i partiti di sinistra, che sono messi malissimo, ma una parte dell’establishment”.



Non solo: come riportato dall’Espresso, il Cavaliere definisce così Bisignani: “Oggi è l’uomo più potente in circolazione. Più potente di me”. Il versante più torbido della “Ditta” sarebbe però un altro ancora: per una fase Bisignani è vicino, attraverso la zarina berlusconiana Daniela Santanchè, al Giornale di Feltri e Sallusti nel momento in cui il quotidiano è accusato di essere una macchina del fango. Custodire segreti oppure crearli. Primo step: il caso “Boffo-Avvenire”, che in realtà serve a cuocere lento il Cavaliere perché gli brucia i rapporti con la Chiesa, già precari per il bunga bunga. Quando è il turno di Fini con la casa di Montecarlo, sono i colonnelli di Fli a dare addosso a Bisignani, come “il braccio destro operativo di Gianni Letta, l’uomo delle nomine delicate, che governa nelle informazioni più sensibili il sito di Dagospia, sostenuto dai finanziamenti di Eni ed Enel”. Oggi nell’inner circle del Caimano i due fronti litigano per un succoso pacchetto di nomine, funzionale al fatidico dopo Berlusconi. Nella battaglia finale qualcosa è cambiato: Bisignani e Santanchè hanno rotto, il “Corriere” appare riposizionato su Tremonti e dà spazio all’inchiesta sulla P4. E nella “Ditta” si guarda con interesse alle inchieste sugli uomini più legati al ministro dell’Economia, come Marco Milanese.



Fabrizio d’Esposito -  Il Fatto Quotidiano - 05 marzo 2011