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lunedì 20 aprile 2009

MA IO PER IL TERREMOTO NON DO NEMMENO UN EURO...

Vi riporto qui sotto un intervento che in questi giorni sta girando parecchio via internet.
Sembra sia di un tale Giacomo Di Girolamo, redattore del Giornale di Sicilia.
Provocazione? Forse: ma a volte le provocazioni servono a far sì che la nostra testa non si addormenti definitivamente...

"MA IO PER IL TERREMOTO NON DO NEMMENO UN EURO..." (di Giacomo Di Girolamo, redattore del Giornale di Sicilia)
 
Scusate, ma io non darò neanche un centesimo di euro a favore di chi raccoglie fondi per le popolazioni terremotate in Abruzzo. So che la mia suona come una bestemmia. E che di solito si sbandiera il contrario, senza il pudore che la carità richiede. Ma io ho deciso. Non telefonerò a nessun numero che mi sottrarrà due euro dal mio conto telefonico, non manderò nessun sms al costo di un euro. Non partiranno bonifici, né versamenti alle poste. Non ho posti letto da offrire, case al mare da destinare a famigliole bisognose, né vecchi vestiti, peraltro ormai passati di moda.

Ho resistito agli appelli dei vip, ai minuti di silenzio dei calciatori, alle testimonianze dei politici, al pianto in diretta del premier. Non mi hanno impressionato i palinsesti travolti, le dirette no - stop, le scritte in sovrimpressione durante gli show della sera. Non do un euro. E credo che questo sia il più grande gesto di civiltà, che in questo momento, da italiano, io possa fare.

Non do un euro perché è la beneficienza che rovina questo Paese, lo stereotipo dell'italiano generoso, del popolo pasticcione che ne combina di cotte e di crude, e poi però sa farsi perdonare tutto con questi slanci nei momenti delle tragedie. Ecco, io sono stanco di questa Italia. Non voglio che si perdoni più nulla. La generosità, purtroppo, la beneficienza, fa da pretesto. Siamo ancora lì, fermi sull'orlo del pozzo di Alfredino, a vedere come va a finire, stringendoci l'uno con l'altro. Soffriamo (e offriamo) una compassione autentica. Ma non ci siamo mossi di un centimetro.

Eppure penso che le tragedie, tutte, possono essere prevenute. I pozzi coperti. Le responsabilità accertate. I danni riparati in poco tempo. Non do una lira, perché pago già le tasse. E sono tante. E in queste tasse ci sono già dentro i soldi per la ricostruzione, per gli aiuti, per la protezione civile. Che vengono sempre spesi per fare altro. E quindi ogni volta la Protezione Civile chiede soldi agli italiani. E io dico no. Si rivolgano invece ai tanti eccellenti evasori che attraversano l'economia del nostro Paese.
E nelle mie tasse c'è previsto anche il pagamento di tribunali che dovrebbero accertare chi specula sulla sicurezza degli edifici, e dovrebbero farlo prima che succedano le catastrofi. Con le mie tasse pago anche una classe politica, tutta, ad ogni livello, che non riesce a fare nulla, ma proprio nulla, che non sia passerella.

C'è andato pure il presidente della Regione Siciliana, Lombardo, a visitare i posti terremotati. In un viaggio pagato - come tutti gli altri - da noi contribuenti. Ma a fare cosa? Ce n'era proprio bisogno?
Avrei potuto anche uscirlo, un euro, forse due. Poi Berlusconi ha parlato di "new town" e io ho pensato a Milano 2 , al lago dei cigni, e al neologismo: "new town". Dove l'ha preso? Dove l'ha letto? Da quanto tempo l'aveva in mente?

Il tempo del dolore non può essere scandito dal silenzio, ma tutto deve essere masticato, riprodotto, ad uso e consumo degli spettatori. Ecco come nasce "new town". E' un brand. Come la gomma del ponte.

Avrei potuto scucirlo qualche centesimo. Poi ho visto addirittura Schifani, nei posti del terremoto. Il Presidente del Senato dice che "in questo momento serve l'unità di tutta la politica". Evviva. Ma io non sto con voi, perché io non sono come voi, io lavoro, non campo di politica, alle spalle della comunità. E poi mentre voi, voi tutti, avete responsabilità su quello che è successo, perché governate con diverse forme - da generazioni - gli italiani e il suolo che calpestano, io non ho colpa di nulla. Anzi, io sono per la giustizia. Voi siete per una solidarietà che copra le amnesie di una giustizia che non c'è.

Io non lo do, l'euro. Perché mi sono ricordato che mia madre, che ha servito lo Stato 40 anni, prende di pensione in un anno quasi quanto Schifani guadagna in un mese. E allora perché io devo uscire questo euro? Per compensare cosa? A proposito. Quando ci fu il Belice i miei lo sentirono eccome quel terremoto. E diedero un po' dei loro risparmi alle popolazioni terremotate.

Poi ci fu l'Irpinia. E anche lì i miei fecero il bravo e simbolico versamento su conto corrente postale. Per la ricostruzione. E sappiamo tutti come è andata. Dopo l'Irpinia ci fu l'Umbria, e San Giuliano, e di fronte lo strazio della scuola caduta sui bambini non puoi restare indifferente.

Ma ora basta. A che servono gli aiuti se poi si continua a fare sempre come prima?
Hanno scoperto, dei bravi giornalisti (ecco come spendere bene un euro: comprando un giornale scritto da bravi giornalisti) che una delle scuole crollate a L'Aquila in realtà era un albergo, che un tratto di penna di un funzionario compiacente aveva trasformato in edificio scolastico, nonostante non ci fossero assolutamente i minimi requisiti di sicurezza per farlo.

Ecco, nella nostra città, Marsala, c'è una scuola, la più popolosa, l'Istituto Tecnico Commerciale, che da 30 anni sta in un edificio che è un albergo trasformato in scuola. Nessun criterio di sicurezza rispettato, un edificio di cartapesta, 600 alunni. La Provincia ha speso quasi 7 milioni di euro d'affitto fino ad ora, per quella scuola, dove - per dirne una - nella palestra lo scorso Ottobre è caduto con lo scirocco (lo scirocco!! Non il terremoto! Lo scirocco! C'è una scala Mercalli per lo scirocco? O ce la dobbiamo inventare?) il controsoffitto in amianto.

Ecco, in quei milioni di euro c'è, annegato, con gli altri, anche l'euro della mia vergogna per una classe politica che non sa decidere nulla, se non come arricchirsi senza ritegno e fare arricchire per tornaconto.
Stavo per digitarlo, l'sms della coscienza a posto, poi al Tg1 hanno sottolineato gli eccezionali ascolti del giorno prima durante la diretta sul terremoto. E siccome quel servizio pubblico lo pago io, con il canone, ho capito che già era qualcosa se non chiedevo il rimborso del canone per quella bestialità che avevano detto.

Io non do una lira per i paesi terremotati. E non ne voglio se qualcosa succede a me. Voglio solo uno Stato efficiente, dove non comandino i furbi. E siccome so già che così non sarà, penso anche che il terremoto è il gratta e vinci di chi fa politica. Ora tutti hanno l'alibi per non parlare d'altro, ora nessuno potrà criticare il governo o la maggioranza (tutta, anche quella che sta all'opposizione) perché c'è il terremoto. Come l'11 Settembre, il terremoto e l'Abruzzo saranno il paravento per giustificare tutto.

Ci sono migliaia di sprechi di risorse in questo paese, ogni giorno. Se solo volesse davvero, lo Stato saprebbe come risparmiare per aiutare gli sfollati: congelando gli stipendi dei politici per un anno, o quelli dei super manager, accorpando le prossime elezioni europee al referendum. Sono le prime cose che mi vengono in mente. E ogni nuova cosa che penso mi monta sempre più rabbia.

Io non do una lira. E do il più grande aiuto possibile. La mia rabbia, il mio sdegno. Perché rivendico in questi giorni difficili il mio diritto di italiano di avere una casa sicura. E mi nasce un rabbia dentro che diventa pianto, quando sento dire "in Giappone non sarebbe successo", come se i giapponesi hanno scoperto una cosa nuova, come se il know - how del Sol Levante fosse solo un' esclusiva loro. Ogni studente di ingegneria fresco di laurea sa come si fanno le costruzioni. Glielo fanno dimenticare all'atto pratico.

E io piango di rabbia perché a morire sono sempre i poveracci, e nel frastuono della televisione non c'è neanche un poeta grande come Pasolini a dirci come stanno le cose, a raccogliere il dolore degli ultimi. Li hanno uccisi tutti, i poeti, in questo paese, o li hanno fatti morire di noia.
Ma io, qui, oggi, mi sento italiano, povero tra i poveri, e rivendico il diritto di dire quello che penso.
Come la natura quando muove la terra, d'altronde.


Giacomo Di Girolamo


martedì 31 marzo 2009

Immigrazione: Chiesa mettiti in gioco

Riporto dal sito di Nigrizia:































Immigrazione: Chiesa mettiti in gioco


Appello al mondo missionario, alla Cei, alle chiese: per opporsi alla strage del Mediterraneo, e per chiedere disobbedienza civile alle leggi razziste previste nel pacchetto sicurezza.



Napoli, 9 marzo 2009

Noi missionari/e sentiamo il dovere di reagire e protestare contro la strage in atto nel Mediterraneo e le leggi razziste contro gli immigrati che arrivano sulle nostre coste. È una tragedia questa, che non ci può lasciare indifferenti: migliaia e migliaia di africani che tentano di attraversare il Mare nostrum per arrivare nell’agognato "Eden". Un viaggio che spesso si conclude tragicamente. Dal 2002 al 2008 sono morti, in maggioranza scomparsi in mare, 42 mila persone, secondo la ricerca condotta a Lampedusa da Giampaolo Visetti, giornalista di La Repubblica. Trecento persone al giorno! Il più grande massacro europeo dopo la II Guerra Mondiale che si consuma sotto i nostri occhi.


E qual è la risposta del governo? Chiudere le frontiere e bloccare questa "invasione". E per questo il "nostro" governo ha stipulato accordi con la Libia e la Tunisia. Il 5 gennaio 2009 infatti il Senato ha approvato il Trattato con il governo libico di Gheddafi per impedire che le cosiddette carrette del mare arrivino a Lampedusa. Com’è possibile firmare un trattato con un paese come la Libia che tratta in maniera così vergognosa gli immigrati in casa propria?


Il 27 gennaio 2009 il ministro Maroni si è incontrato con il ministro degli Interni tunisino per la stessa ragione. Il regime di Ben Ali in Tunisia non è meno dittatoriale di quello libico. Questi tentativi italiani per bloccare l’immigrazione clandestina, sono sostenuti dal Frontex, l’Agenzia Europea per la difesa dei confini, che ha ricevuto oltre 22 milioni di euro per tali operazioni.


Ci dimentichiamo però che questa pressione migratoria è dovuta alla tormentata situazione africana, in particolare dell’Africa Centrale e Orientale. Le situazioni di miseria e oppressione, le guerre troppo spesso dimenticate dell’Eritrea, Etiopia, Somalia, Sudan, Ciad sospingono migliaia di persone a fuggire attraverso il deserto per arrivare in Tunisia e Libia dove sono trattate come schiavi: lunghi anni di lavoro in nero per ottenere i soldi per la grande traversata (soldi che andranno alle mafie). E se riusciranno (pagando 3-4000 euro) ad attraversare il Mediterraneo ed arrivare a Lampedusa, verranno rinchiusi in un vero e proprio campo di concentramento, il Centro di “accoglienza” trasformato il 24 gennaio in Cie (Centro di identificazione ed espulsione): un vero lager che può ospitare 900 persone ed invece ne contiene 1900! Di qui le drammatiche rivolte di questi giorni con i tentati suicidi di parecchi tunisini che non vogliono essere rimpatriati perché sanno quello che li attende.


Tutto questo grazie alla solerzia del nostro ministro Maroni che ha detto che bisogna essere «cattivi» con gli immigrati. E il suo Pacchetto Sicurezza è la «cattiveria trasformata in legge», come afferma il settimanale Famiglia Cristiana. Infatti nel Pacchetto Sicurezza il clandestino è dichiarato criminale. Una legislazione questa che ha trovato un terreno fertile, preparato da un crescente razzismo della società italiana (così ben espresso dalla Lega!) e da una legislazione che va dalla Turco-Napolitano (l’idea dei Centri di permanenza temporanea) all’immorale e non-costituzionale Bossi-Fini, che non riconosce l’immigrato come soggetto di diritto, ma come forza lavoro pagata a basso prezzo, da rispedire al mittente quando non ci serve più.


La legge infatti prevede, fra le altre cose, la possibilità che i medici denuncino i clandestini ammalati, la tassa sul permesso di soggiorno (dagli 80 ai 200 euro!), le "ronde", il permesso di soggiorno a punti, norme restrittive sui ricongiungimenti familiari e i matrimoni misti, il carcere fino a 4 anni per gli irregolari che non rispettano l’ordine di espulsione. Maroni ha pure deciso di costruire una decina di Centri di identificazione e di espulsione, ove saranno rinchiusi fino a 6 mesi i clandestini. Questa è una legislazione da apartheid: il risultato di un mondo politico di destra e di sinistra che ha messo alla gogna lavavetri, ambulanti, Rom e mendicanti. È una cultura xenofoba e razzista che ci sta portando nel baratro dell’esclusione e dell’apartheid. Tutto questo immemori di essere stati noi “forestieri in terra di Egitto” quando così tanti italiani oltre al doloroso distacco dalla propria terra, hanno sperimentato l’emarginazione, il disprezzo e l’oppressione.

 

Per questo noi chiediamo:

 

ai missionari/e, religiosi/e, laici/che impegnati con il Sud del mondo:

·        di schierarsi dalla parte degli immigrati contro una «politica miope e xenofoba»e che fa «precipitare l’Italia, unico paese occidentale, verso il baratro di leggi razziali», come afferma Famiglia Cristiana.


·       
di organizzare una processione penitenziale, per chiedere perdono a Dio e ai fratelli migranti per il razzismo, la xenofobia, la caccia al musulmano che, come forza diabolica, sono entrate nel corpo politico di questa Italia.

 

alla Conferenza Episcopale Italiana:

·        di chiedere la disobbedienza civile a queste leggi razziste. È quanto ha fatto nel 2006, in situazioni analoghe, il cardinale R. Mahoney di Los Angeles, California, che ha chiesto nell’omelia del mercoledì delle Ceneri a tutti i cattolici americani di servire tutti gli immigrati, anche quelli clandestini.

 

alla Chiesa cattolica in Italia e alle altre Chiese:

·        di riprendere l’antica pratica biblica, accolta e praticata anche dalle comunità cristiane di fare del tempio il luogo di rifugio per avere salva la vita, come indicato nel libro dei Numeri 35,10-12. Su questa base biblica negli anni ’80, negli USA, nacque il Sanctuary Movement che oggi viene rilanciato.

 

Come missionari/e facciamo nostro l’appello degli antropologi italiani: "Quell’antropologia impegnata dalla promessa di ampliare gli orizzonti di ciò che dobbiamo considerare umano deve denunciare il ripiegamento autoritario, razzista, irrazionale e liberticida che sta minando le basi della coesistenza civile nel nostro paese, e che rischia di svuotare dall’interno le garanzie costituzionali erette 60 anni fa, contro il ritorno di un fascismo che rivelò se stesso nelle leggi razziali. Forse anche allora, in molti pensarono che no si sarebbe osato tanto: oggi abbiamo il dovere di non ripetere quell’errore".

 

Viviamo un tempo difficile, ma carico di speranza nella misura in cui siamo capaci di mettere in gioco la nostra vita per la Vita.

 

 

 

Comunità Comboniana - Rione Sanita (Napoli)

Alex Zanotelli e Domenico Guarino

Casa Rut – Suore Orsoline, Caserta

Casa Zaccheo – Padri Sacramentini, Caserta

Missionarie Comboniane – Torre Annunziata (Napoli)

Comunità Comboniana - Castelvolturno (Caserta)

 

lunedì 2 marzo 2009

Ancora su Eluana & co.

Volevo condividere con voi il seguente articolo di Enzo Bianchi che ho scoperto solo oggi.
Non credo si debba aggiungere molto....



Vita e morte secondo il vangelo                                                                                                                       


 di Enzo Bianchi
in “La Stampa” del 15 febbraio 2009


C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare» ammoniva Qohelet, così come «c’è un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per uccidere e un tempo per guarire...». Veniamo da settimane in cui questa antica sapienza umana - prima ancora che biblica - è parsa dimenticata. Anche tra i pochi che parlavano per invocare il silenzio v’era chi sembrava mosso più che altro dal desiderio di far tacere quanti la pensavano diversamente da lui. Da parte mia confesso che, anche se il direttore di questo giornale mi ha invitato più volte a scrivere, ho preferito fare silenzio, anzi, soffrire in silenzio aspettando l’ora in cui fosse forse possibile - ma non è certo - dire una parola udibile. Attorno all’agonia lunga 17 anni di una donna, attorno al dramma di una famiglia nella sofferenza, si è consumato uno scontro incivile, una gazzarra indegna dello stile cristiano: giorno dopo giorno, nel silenzio abitato dalla mia fede in Dio e dalla mia fedeltà alla terra e all’umanità di cui sono parte, constatavo una violenza verbale, e a volte addirittura fisica, che strideva con la mia fede cristiana. Non potevo ascoltare quelle grida - «assassini», «boia», «lasciatela a noi»... - senza pensare a Gesù che quando gli hanno portato una donna gridando «adultera» ha fatto silenzio a lungo, per poterle dire a un certo punto: «Donna neppure io ti condanno: va’ e non peccare più»; non riuscivo ad ascoltare quelle urla minacciose senza pensare a Gesù che in croce non urla «ladro, assassino!» al brigante non pentito, ma in silenzio gli sta accanto, condividendone la condizione di colpevole e il supplizio. Che senso ha per un cristiano recitare rosari e insultare? O pregare ostentatamente in piazza con uno stile da manifestazione politica o sindacale?


Ma accanto a queste contraddizioni laceranti, come non soffrire per la strumentalizzazione politica dell’agonia di questa donna? Una politica che arriva in ritardo nello svolgere il ruolo che le è proprio - offrire un quadro legislativo adeguato e condiviso per tematiche così sensibili - e che brutalmente invade lo spazio più intimo e personale al solo fine del potere; una politica che si finge al servizio di un’etica superiore, l’etica cristiana, e che cerca, con il compiacimento anche di cattolici, di trasformare il cristianesimo in religione civile.
L’abbiamo detto e scritto più volte: se mai la fede cristiana venisse declinata come religione civile, non solo perderebbe la sua capacità profetica, ma sarebbe ridotta a cappellania del potente di turno, diverrebbe sale senza più sapore secondo le parole di Gesù, incapace di stare nel mondo facendo memoria del suo Signore. È avvenuto quanto più volte avevo intravisto e temuto: lo scontro di civiltà preconizzato da Huntington non si è consumato come scontro di religioni ma come scontro di etiche, con gli effetti devastanti di una maggiore divisione e contrapposizione nella polis e, va detto, anche nella Chiesa. Da questi «giorni cattivi» usciamo più divisi. Da un lato il fondamentalismo religioso che cresce, dall’altro un nichilismo che rigetta ogni etica condivisa fanno sì che cessi l’ascolto reciproco e la società sia sempre più segnata dalla barbarie. Sì, ci sono state anche voci di compassione, ma nel clamore generale sono passate quasi inascoltate. L’Osservatore Romano ha coraggiosamente chiesto - tramite le parole del suo direttore, il tono e la frequenza degli interventi - di evitare strumentalizzazioni da ogni parte, di scongiurare lo scontro ideologico, di richiamare al rispetto della morte stessa. Ma molti mass media in realtà sono apparsi ostaggio di una battaglia frontale in cui nessuno dei contendenti si è risparmiato mezzi ingiustificabili dal fine. Eppure, di vita e di morte si trattava, realtà intimamente unite e pertanto non attribuibili in esclusiva a un campo o all’altro, a una cultura o a un’altra. La morte resta un enigma per tutti, diviene mistero per i credenti: un evento che non deve essere rimosso, ma che dà alla nostra vita il suo limite e fornisce le ragioni della responsabilità personale e sociale; un evento che tutti ci minaccia e tutti ci attende come esito finale della vita e, quindi, parte della vita stessa, un evento da viversi perciò soprattutto nell’amore: amore per chi resta e accettazione dell’amore che si riceve. Sì, questa è la sola verità che dovremmo cercare di vivere nella morte e accanto a chi muore, anche quando questo risulta difficile e faticoso. Infatti la morte non è sempre quella di un uomo o una donna che, sazi di giorni, si spengono quasi naturalmente come candela, circondati dagli affetti più cari. No, a volte è «agonia», lotta dolorosa, perfino abbrutente a causa della sofferenza fisica; oggi è sempre più spesso consegnata alla scienza medica, alla tecnica, alle strutture e ai macchinari...
Che dire a questo proposito? La vita è un dono e non una preda: nessuno si dà la vita da se stesso né può conquistarla con la forza. Nello spazio della fede i credenti, accanto alla speranza nella vita in Dio oltre la morte, hanno la consapevolezza che questo dono viene da Dio: ricevuta da lui, a lui va ridata con un atto puntuale di obbedienza, cercando, a volte anche a fatica, di ringraziare Dio: «Ti ringrazio, mio Dio, di avermi creato...». Ma il credente sa che molti cristiani di fronte a quell’incontro finale con Dio hanno deciso di pronunciare un «sì» che comportava la rinuncia ad accanirsi per ritardare il momento di quel faccia a faccia temuto e sperato. Quanti monaci, quante donne e uomini santi, di fronte alla morte hanno chiesto di restare soli e di cibarsi solo dell’eucarestia, quanti hanno recitato il Nunc dimittis, il «lascia andare, o Signore, il tuo servo» come ultima preghiera nell’attesa dell’incontro con colui che hanno tanto cercato... In anni più vicini a noi, pensiamo al patriarca Athenagoras I e a papa Giovanni Paolo II: due cristiani, due vescovi, due capi di Chiese che hanno voluto e saputo spegnersi acconsentendo alla chiamata di Dio, facendo della morte l’estremo atto di obbedienza nell’amore al loro Signore.
Testimonianze come queste sono il patrimonio prezioso che la Chiesa può offrire anche a chi non crede, come segno grande di un anticipo della vittoria sull’ultimo nemico del genere umano, la morte. Voci come queste avremmo voluto che accompagnassero il silenzio di rispetto e compassione in questi giorni cattivi assordati da un vociare indegno. La Chiesa cattolica e tutte le Chiese cristiane sono convinte di dover affermare pubblicamente e soprattutto di testimoniare con il vissuto che la vita non può essere tolta o spenta da nessuno e che, dal concepimento alla morte naturale, essa ha un valore che nessun uomo può contraddire o negare; ma i cristiani in questo impegno non devono mai contraddire quello stile che Gesù ha richiesto ai suoi discepoli: uno stile che pur nella fermezza deve mostrare misericordia e compassione senza mai diventare disprezzo e condanna di chi pensa diversamente. Allora, da una millenaria tradizione di amore per la vita, di accettazione della morte e di fede nella risurrezione possono nascere parole in grado di rispondere agli inediti interrogativi che il progresso delle scienze e delle tecniche mediche pongono al limitare in cui vita e morte si incontrano. Così le riassumeva la lettera pontificale di Paolo VI indirizzata ai medici cattolici nel 1970: «Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo: l’ora ineluttabile e sacra dell’incontro dell’anima con il suo Creatore, attraverso un passaggio doloroso che la rende partecipe della passione di Cristo. Anche in questo il medico deve rispettare la vita». Ecco, questo è il contributo che con rispetto e semplicità i cristiani possono offrire a quanti non condividono la loro fede, affinché la società ritrovi un’etica condivisa e ciascuno possa vivere e morire nell’amore e nella libertà.




mercoledì 21 gennaio 2009

Speriamo...

Giusto un intervento al volo per un rimando al principale fatto di attualità di questi giorni (dopo il caso Kakà).
Probabilmente vi sarete forse anche annoiati a vedere/sentire la grande quantità di servizi che i media ci hanno riversato in questi giorni su Obama.
Al di là degli aspetti puramente celebrativi o di gossip, non so se avete letto o sentito per intero il discorso che Obama ha fatto in occasione del giuramento; probabilmente lo avrete già fatto, in caso contrario potete trovare il testo al link:
http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/esteri/obama-insediamento/testo-discorso-italiano/testo-discorso-italiano.html

Premesso che sono sempre diffidente nei confronti dell'esaltazione e mistificazione di un essere umano, premesso inoltre che personalmente non sono in grado allo stato attuale di dare un giudizio su Obama, e ribadito il concetto che comunque alle parole dovrebbero seguire i fatti (e su questo deve essere giudicato un politico), non posso fare a meno di sottolineare la forza di alcuni passi, tipo:

"Ricordiamoci che le precedenti generazioni hanno sgominato il fascismo e il comunismo non solo con i missili e i carriarmati, ma con alleanze solide e convinzioni tenaci. Hanno capito che il nostro potere da solo non può proteggerci, né ci autorizza a fare come più ci aggrada."

"Noi sappiamo che il nostro retaggio a patchwork è una forza e non una debolezza. Noi siamo una nazione di cristiani e musulmani, ebrei e induisti e non credenti. Noi siamo formati da ciascun linguaggio e cultura disegnata in ogni angolo di questa Terra; e poiché abbiamo assaggiato l'amaro sapore della Guerra civile e della segregazione razziale e siamo emersi da quell'oscuro capitolo più forti e più uniti, noi non possiamo far altro che credere che i vecchi odi prima o poi passeranno, che le linee tribali saranno presto dissolte, che se il mondo si è rimpicciolito, la nostra comune umanità dovrà riscoprire se stessa; e che l'America deve giocare il suo ruolo nel far entrare il mondo in una nuova era di pace."

"Alla gente delle nazioni povere, noi promettiamo di lavorare insieme per far fiorire le vostre campagne e per pulire i vostri corsi d'acqua; per nutrire i corpi e le menti affamate. E a quelle nazioni, come la nostra, che godono di una relativa ricchezza, noi diciamo che non si può più sopportare l'indifferenza verso chi soffre fuori dai nostri confini; né noi possiamo continuare a consumare le risorse del mondo senza considerare gli effetti. Perché il mondo è cambiato e noi dobbiamo cambiare con esso."

"Oggi siamo riuniti qui perché abbiamo scelto la speranza rispetto alla paura, l'unità degli intenti rispetto al conflitto e alla discordia".

Ripeto, per ora sono solo parole: ma se le parole di Obama sono sincere, God bless America!

venerdì 5 dicembre 2008

Mancano i soldi per la pubblica istruzione ma...

La Conferenza Episcopale Italiana (Cei) si è detta preoccupata oggi riguardo il destino
delle scuole pubbliche non statali, riguardo tagli previsti dalla finanziaria 2009, e ha esortato
il governo a mettere in atto gli impegni assunti riguardo lo stanziamento di fondi da destinare
agli istituti paritari.

"Siamo preoccupati, come emerso anche di recente da diverse voci del mondo cattolico,
per il destino delle scuole pubbliche non statali", ha detto la Cei in una nota. "Tuttavia, pur
consapevoli del momento economico e sociale che il Paese sta attraversando, confidiamo
negli impegni che il governo ha assunto pubblicamente", ha aggiunto.

L'ufficio legislativo del gruppo del Pdl in Senato ha tuttavia precisato a Reuters, in risposta alle
preoccupazioni sollevate dai vescovi, che i fondi per le scuole private verranno ripristinati con
un emendamento che prevede lo stanziamento di 120 milioni per il 2009.


Il taglio originario era di circa 130 milioni di euro.


(da fonte Reuters ,ripresa dai principali quotidiani)


O come è che per questi si trovano su 2 piedi 120 milioni?

Ma se si facesse un bel decreto che abolisse l'istruzione obbligatoria non statale, dal momento che l'istruzione dovrebbe essere un diritto costituzionale garantito comunque per tutti dalla Repubblica?

mercoledì 22 ottobre 2008

Sul ponte di Giussano noi ci darem la mano

Il ponte in questione è quello della cosiddette "classi ponte" previste da un recente emendamento proposto dalla Lega con il pretesto di favorire l'integrazione linguistica dei figli degli immigrati, necessaria per il loro corretto inserimento nella scuola italiana.
Anche oggi il Berlusca ripete:"la proposta delle 'classi ponte' per i figli di immigrati non è dettata da razzismo ma da buonsenso. Conoscere la lingua italiana è necessario".

Detta così uno cosa si immagina? Una specie di corso di lingua propedeutico.
Ed infatti il testo dell'emendamento recita:

"Il governo è impegnato a favorire, all'interno delle predette classi di inserimento, l'attuazione di percorsi monodisciplinari e interdisciplinari, attraverso l'elaborazione di un curricolo formativo essenziale, che tenga conto di progetti interculturali, nonché dell'educazione alla legalità e alla cittadinanza:

a) comprensione dei diritti e doveri (rispetto per gli altri, tolleranza, lealtà, rispetto della legge del paese accogliente);

b) sostegno alla vita democratica;

c) interdipendenza mondiale;

d) rispetto di tradizioni territoriali e regionali del Paese accogliente, senza etnocentrismi;

e) rispetto per la diversità morale e cultura religiosa del Paese accogliente"

Siamo veramente dei grandi: a questi bambini e ragazzetti immigrati offriamo non solo un corso di lingua, ma il pacchetto completo affinché imparino davvero a comportarsi bene e seguano l'esempio di noi che siamo già bravi!
Perché sicuramente l'Educazione non l'avranno imparata dai loro genitori, che provengono certamente da civiltà tribali (probabilmente da uno dei "paesi canaglia").

Si noti per altro che non si parla di età, per cui suppongo provvedimenti di cui sopra (educazione alla legalità, rispetto della legge del paese accogliente etc.) sarebbero rivolti anche a bambini piccoli...

Mi auguro che almeno di fronte a questo tema il Pastore Tedesco faccia una bella abbaiata (tanto deve comunque metter bocca nelle cose di casa nostra): ovviamente però non prima di aver risolto la pratica Eluana (ogni cosa ha la sua priorità...)

martedì 21 ottobre 2008

Gelmini la Brunetta

Ebbene sì, al fin giungo anch'io ad unirmi a questo covo di sovversivi (mi farà sentire un po' più giovane...)
Con un indubbio tocco di originalità vorrei dare anch'io qualche spunto di riflessione circa la riforma della scuola alla quale vedo che avete dedicato già qualche post.
Dunque, reduce da una serata di resistenza presso la Casa della Cultura di via Forlanini, vorrei sottolineare un aspetto del famoso decreto Brunetta che forse è passato inosservato ma al cui confronto secondo me la storia del maestro unico della Gelmini l'è roba da bambini.

Dunque, innanzi tutto ricordo che nella Costituzione (art. 77) sta scritto che:


"Il Governo NON può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.
Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni
."

mentre ultimamente questi decreti legge sono la norma (e non mi sembra che, ad esempio, il maestro unico del decreto Gelmini risponda a requisiti di urgente necessità).
Ma lasciamo pure fare questo aspetto...

Il fatto è che nel succitato Decreto Brunetta, al comma 4 dell'art. 64 (Disposizioni in materia di organizzazione scolastica), sta scritto:


"Per l'attuazione del piano di cui al comma 3, con uno o più regolamenti da adottare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto ed in modo da assicurare comunque la puntuale attuazione del piano di cui al comma 3, in relazione agli interventi annuali ivi previsti, ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata di cui al citato decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, anche modificando le disposizioni legislative vigenti, si provvede ad una revisione dell'attuale assetto ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico, attenendosi ai seguenti criteri:

    a. razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso, per una maggiore flessibilità nell'impiego dei docenti;

    b. ridefinizione dei curricoli vigenti nei diversi ordini di scuola anche attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari, con particolare riferimento agli istituti tecnici e professionali;

    c. revisione dei criteri vigenti in materia di formazione delle classi;

    d. rimodulazione dell'attuale organizzazione didattica della scuola primaria;

    e. revisione dei criteri e dei parametri vigenti per la determinazione della consistenza complessiva degli organici del personale docente ed ATA, finalizzata ad una razionalizzazione degli stessi;

    f. ridefinizione dell'assetto organizzativo-didattico dei centri di istruzione per gli adulti, ivi compresi i corsi serali, previsto dalla vigente normativa
."

Ovvero, una legge già di per sé approvata per decreto, prevede che, relativamente a tutto ciò che concerne il sistema scolastico (non so cosa resti del sistema scolastico al di fuori di quanto previsto dai punti a, b, c, d, e, f del succitato comma), il governo possa modificare il tutto "con uno o più regolamenti da adottare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore... anche modificando le disposizioni legislative vigenti": ossia, la scuola può essere stravolta tramite dei semplici regolamenti del governo, al di fuori di qualunque discussione parlamentare...

Vien voglia di citare ancora il buon Calamandrei che sempre l'11 febbraio 1950 affermava:


"La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola "l'ordinamento dello Stato", sono descritti quegli organi attraverso i quali si esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura: ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo costituzionale e l'organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi che nell'organismo umano hanno la funzione di creare il sangue [...].
La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere quello che secondo noi è il problema centrale della democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall'afflusso verso l'alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l'alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società [...].
A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere la sua parte di sole e di dignità (applausi). Ma questo può farlo soltanto la scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali
."

Povera scuola: "organo costituzionale, organo centrale della democrazia", in balia di regolamenti del governo di turno...

Sono stato un po' lungo? Beh... è il mio primo intervento ma direi che mi son rifatto... almeno a quantità di parole!

P.S. 1 - sembra, tra l'altro, che questa pratica di delegificazione in base a cui la legge stessa demanda la sua funzione a regolamenti dell'esecutivo sia stata ereditata dal buon Bassanini del governo di centrosinistrorsa memoria (non sempre è tutta colpa di Silvio...)

P.S. 2 - sembra anche che, quando si fece la riforma scolastica che introdusse il "modulo" con la riforma dei programmi e i 3 insegnanti nelle elementari, se ne cominciò a parlare nella prima metà degli anni '80 e la cosa andò a regime solo negli anni '90; indubbiamente da questo punto di vista il Berlusca è molto più efficiente: in pochi mesi sistema tutto!