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lunedì 2 marzo 2009

Ancora su Eluana & co.

Volevo condividere con voi il seguente articolo di Enzo Bianchi che ho scoperto solo oggi.
Non credo si debba aggiungere molto....



Vita e morte secondo il vangelo                                                                                                                       


 di Enzo Bianchi
in “La Stampa” del 15 febbraio 2009


C’è un tempo per tacere e un tempo per parlare» ammoniva Qohelet, così come «c’è un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per uccidere e un tempo per guarire...». Veniamo da settimane in cui questa antica sapienza umana - prima ancora che biblica - è parsa dimenticata. Anche tra i pochi che parlavano per invocare il silenzio v’era chi sembrava mosso più che altro dal desiderio di far tacere quanti la pensavano diversamente da lui. Da parte mia confesso che, anche se il direttore di questo giornale mi ha invitato più volte a scrivere, ho preferito fare silenzio, anzi, soffrire in silenzio aspettando l’ora in cui fosse forse possibile - ma non è certo - dire una parola udibile. Attorno all’agonia lunga 17 anni di una donna, attorno al dramma di una famiglia nella sofferenza, si è consumato uno scontro incivile, una gazzarra indegna dello stile cristiano: giorno dopo giorno, nel silenzio abitato dalla mia fede in Dio e dalla mia fedeltà alla terra e all’umanità di cui sono parte, constatavo una violenza verbale, e a volte addirittura fisica, che strideva con la mia fede cristiana. Non potevo ascoltare quelle grida - «assassini», «boia», «lasciatela a noi»... - senza pensare a Gesù che quando gli hanno portato una donna gridando «adultera» ha fatto silenzio a lungo, per poterle dire a un certo punto: «Donna neppure io ti condanno: va’ e non peccare più»; non riuscivo ad ascoltare quelle urla minacciose senza pensare a Gesù che in croce non urla «ladro, assassino!» al brigante non pentito, ma in silenzio gli sta accanto, condividendone la condizione di colpevole e il supplizio. Che senso ha per un cristiano recitare rosari e insultare? O pregare ostentatamente in piazza con uno stile da manifestazione politica o sindacale?


Ma accanto a queste contraddizioni laceranti, come non soffrire per la strumentalizzazione politica dell’agonia di questa donna? Una politica che arriva in ritardo nello svolgere il ruolo che le è proprio - offrire un quadro legislativo adeguato e condiviso per tematiche così sensibili - e che brutalmente invade lo spazio più intimo e personale al solo fine del potere; una politica che si finge al servizio di un’etica superiore, l’etica cristiana, e che cerca, con il compiacimento anche di cattolici, di trasformare il cristianesimo in religione civile.
L’abbiamo detto e scritto più volte: se mai la fede cristiana venisse declinata come religione civile, non solo perderebbe la sua capacità profetica, ma sarebbe ridotta a cappellania del potente di turno, diverrebbe sale senza più sapore secondo le parole di Gesù, incapace di stare nel mondo facendo memoria del suo Signore. È avvenuto quanto più volte avevo intravisto e temuto: lo scontro di civiltà preconizzato da Huntington non si è consumato come scontro di religioni ma come scontro di etiche, con gli effetti devastanti di una maggiore divisione e contrapposizione nella polis e, va detto, anche nella Chiesa. Da questi «giorni cattivi» usciamo più divisi. Da un lato il fondamentalismo religioso che cresce, dall’altro un nichilismo che rigetta ogni etica condivisa fanno sì che cessi l’ascolto reciproco e la società sia sempre più segnata dalla barbarie. Sì, ci sono state anche voci di compassione, ma nel clamore generale sono passate quasi inascoltate. L’Osservatore Romano ha coraggiosamente chiesto - tramite le parole del suo direttore, il tono e la frequenza degli interventi - di evitare strumentalizzazioni da ogni parte, di scongiurare lo scontro ideologico, di richiamare al rispetto della morte stessa. Ma molti mass media in realtà sono apparsi ostaggio di una battaglia frontale in cui nessuno dei contendenti si è risparmiato mezzi ingiustificabili dal fine. Eppure, di vita e di morte si trattava, realtà intimamente unite e pertanto non attribuibili in esclusiva a un campo o all’altro, a una cultura o a un’altra. La morte resta un enigma per tutti, diviene mistero per i credenti: un evento che non deve essere rimosso, ma che dà alla nostra vita il suo limite e fornisce le ragioni della responsabilità personale e sociale; un evento che tutti ci minaccia e tutti ci attende come esito finale della vita e, quindi, parte della vita stessa, un evento da viversi perciò soprattutto nell’amore: amore per chi resta e accettazione dell’amore che si riceve. Sì, questa è la sola verità che dovremmo cercare di vivere nella morte e accanto a chi muore, anche quando questo risulta difficile e faticoso. Infatti la morte non è sempre quella di un uomo o una donna che, sazi di giorni, si spengono quasi naturalmente come candela, circondati dagli affetti più cari. No, a volte è «agonia», lotta dolorosa, perfino abbrutente a causa della sofferenza fisica; oggi è sempre più spesso consegnata alla scienza medica, alla tecnica, alle strutture e ai macchinari...
Che dire a questo proposito? La vita è un dono e non una preda: nessuno si dà la vita da se stesso né può conquistarla con la forza. Nello spazio della fede i credenti, accanto alla speranza nella vita in Dio oltre la morte, hanno la consapevolezza che questo dono viene da Dio: ricevuta da lui, a lui va ridata con un atto puntuale di obbedienza, cercando, a volte anche a fatica, di ringraziare Dio: «Ti ringrazio, mio Dio, di avermi creato...». Ma il credente sa che molti cristiani di fronte a quell’incontro finale con Dio hanno deciso di pronunciare un «sì» che comportava la rinuncia ad accanirsi per ritardare il momento di quel faccia a faccia temuto e sperato. Quanti monaci, quante donne e uomini santi, di fronte alla morte hanno chiesto di restare soli e di cibarsi solo dell’eucarestia, quanti hanno recitato il Nunc dimittis, il «lascia andare, o Signore, il tuo servo» come ultima preghiera nell’attesa dell’incontro con colui che hanno tanto cercato... In anni più vicini a noi, pensiamo al patriarca Athenagoras I e a papa Giovanni Paolo II: due cristiani, due vescovi, due capi di Chiese che hanno voluto e saputo spegnersi acconsentendo alla chiamata di Dio, facendo della morte l’estremo atto di obbedienza nell’amore al loro Signore.
Testimonianze come queste sono il patrimonio prezioso che la Chiesa può offrire anche a chi non crede, come segno grande di un anticipo della vittoria sull’ultimo nemico del genere umano, la morte. Voci come queste avremmo voluto che accompagnassero il silenzio di rispetto e compassione in questi giorni cattivi assordati da un vociare indegno. La Chiesa cattolica e tutte le Chiese cristiane sono convinte di dover affermare pubblicamente e soprattutto di testimoniare con il vissuto che la vita non può essere tolta o spenta da nessuno e che, dal concepimento alla morte naturale, essa ha un valore che nessun uomo può contraddire o negare; ma i cristiani in questo impegno non devono mai contraddire quello stile che Gesù ha richiesto ai suoi discepoli: uno stile che pur nella fermezza deve mostrare misericordia e compassione senza mai diventare disprezzo e condanna di chi pensa diversamente. Allora, da una millenaria tradizione di amore per la vita, di accettazione della morte e di fede nella risurrezione possono nascere parole in grado di rispondere agli inediti interrogativi che il progresso delle scienze e delle tecniche mediche pongono al limitare in cui vita e morte si incontrano. Così le riassumeva la lettera pontificale di Paolo VI indirizzata ai medici cattolici nel 1970: «Il carattere sacro della vita è ciò che impedisce al medico di uccidere e che lo obbliga nello stesso tempo a dedicarsi con tutte le risorse della sua arte a lottare contro la morte. Questo non significa tuttavia obbligarlo a utilizzare tutte le tecniche di sopravvivenza che gli offre una scienza instancabilmente creatrice. In molti casi non sarebbe forse un’inutile tortura imporre la rianimazione vegetativa nella fase terminale di una malattia incurabile? In quel caso, il dovere del medico è piuttosto di impegnarsi ad alleviare la sofferenza, invece di voler prolungare il più a lungo possibile, con qualsiasi mezzo e in qualsiasi condizione, una vita che non è più pienamente umana e che va naturalmente verso il suo epilogo: l’ora ineluttabile e sacra dell’incontro dell’anima con il suo Creatore, attraverso un passaggio doloroso che la rende partecipe della passione di Cristo. Anche in questo il medico deve rispettare la vita». Ecco, questo è il contributo che con rispetto e semplicità i cristiani possono offrire a quanti non condividono la loro fede, affinché la società ritrovi un’etica condivisa e ciascuno possa vivere e morire nell’amore e nella libertà.




domenica 15 febbraio 2009

Testamento biologico: dalla tecnica all'etica

Scusate se insisto sull'argomento, ma penso di doverlo fare, sia per la sua importanza che per il caos che si è creato su di esso (ho visto un "Porta a Porta" qualche giorno fa in cui la tesi finale era che tutti la pensano diversamente e che l'unica soluzione è fare tutte le terapie a tutti...).


Parto dagli aspetti che mi sembrano "oggettivi":



  1. ciascuno ha il diritto di rifiutare i trattamenti medici (art. 32 della Costituzione). Il rifiuto consapevole di un trattamento medico è un diritto e non costituisce eutanasia, neppure passiva;

  2. chi non è in grado di esprimere un valido consenso non può godere di questo diritto e, in molti casi, non si sa chi debba decidere per lui. E' il caso dello stato vegetativo ed è per questo che da anni si pensa ad una legge per il cosiddetto "testamento biologico"

  3. la nutrizione artificiale è un trattamento medico, al pari della ventilazione meccanica, per cui esistono linee guida precise. Chi dice il contrario o ha idee molto vaghe sulla medicina o è in mala fede (come ha detto efficacemente Ignazio Marino, "lo prescrive il medico e non il cuoco"). Nello stato vegetativo è generalmente indicato ed efficace (Eluana è sopravvissuta per anni!), nella demenza grave è generalmente un accanimento terapeutico (i malati muoiono comunque).  

  4. credo che abbiamo bisogno di una legge che regolamenti questi aspetti, con cautela, riducendo al minimo necessario gli aspetti "burocratici"


Finisco con uno spunto per un dibattito "etico" (o esistenziale), in particolare per gli amici credenti. I più "aperti" dicono che ognuno deve decidere secondo la sua coscienza, e a volte sembra sottointeso che un Cattolico dovrà scegliere di prolungare al masimo la sua sopravvivenza perché la vita è sacra e questo è il "bene". Siamo sicuri che il valore della vita presupponga che la vita vada prolungato al massimo a tutti i costi? Possiamo sottrarre queste scelte al dominio della morale (è bene, è male, è peccato), inducendo pericolosi sensi di colpa, in modo che ciascuno possa esser aiutato a pensare ciò che sarebbe non buono ma "bello" pe sé e per i suoi cari? 

martedì 10 febbraio 2009

una firma per eluana

Cari amici,


vi rubo 5 minuti di tempo per una riflessione sulla vicenda della povera Eluana Englaro.


A parte il fatto che il dolore di questa gente è finito nel tritacarne della politica, mi hanno particolarmente infastidito due aspetti della vicenda:


1)      Il disprezzo per la Costituzione (che il nostro premier, che su quella Carta ha giurato, definisce “filosovietica” dimostrando che ignora la storia oltre al diritto);


2)      La continua ingerenza nella vita politica del Paese da parte del Vaticano, che ha dato il suo plauso a Berlusconi per il “coraggio” nel varare il decreto legge e ha invece bacchettato sulle mani il Presidente della Repubblica perché ne ha rifiutato la firma.


Arriverà il momento in cui Berlusconi proverà a fare un decreto legge per sovvertire una sentenza di condanna nei suoi confronti?


Per dare sostanza al dissenso può valere la pena sottoscrivere l’appello di un’associazione che si chiama Libertà e Giustizia, che potete trovare al link sotto.


L’associazione è stata fondata da personalità di spicco della società civile (Zagrebelsky, Eco, Biagi, Veronesi) di destra e di sinistra, laici e non, ed ha come missione la tutela della Costituzione e i valori cardine del nostro ordinamento, e promuove il rispetto del principio di separazione tra Stato e Chiesa. Non è un partito né aspira a diventarlo: è un’iniziativa della società civile.


Il link per la sottoscrizione dell’appello è:


http://www.libertaegiustizia.it/appelli/dettaglio_appello.php?id_appello=11


Oppure si può firmare su www.repubblica.it


Le firme sono già oltre 100mila, ci vogliono 30 secondi per aggiungere la tua.


È bene che certe persone si rendano conto che non siamo tutte pecore.


A beneficio di quanti pensano che tutto sommato non ci sia un’emergenza democratica nel nostro Paese riporto questa frase di Bobbio:


Il cammino della democrazia non è un cammino facile. Per questo bisogna essere continuamente vigilanti, non rassegnarsi al peggio, ma neppure abbandonarsi ad una tranquilla fiducia nelle sorti fatalmente progressive dell’umanità… La differenza tra la mia generazione e quella dei nostri padri è che loro erano democratici ottimisti. Noi siamo, dobbiamo essere, democratici sempre in allarme”.
Un abbraccio a tutti


Enrico G.

giovedì 17 luglio 2008

Eluana Englaro: la Legge e la Grazia

"Alimentare è un elemento essenziale per ogni essere umano affinché rimanga in vita. Anche la mamma obbliga a mangiare il piccolo che fa i capricci. Eluana è in coma da lungo tempo, ma darle cibo e acqua è ciò che si dà a ogni persona".


Dopo la decisione del tribunale che ha autorizzato la sospensione della nutrizione artificiale mediante sonda di Eluana Englaro, in stato vegetativo permanente da 16 anni, queste sono state le parole di Mons. Fisichella, presidente dell'Accademia Pontificia della Vita (Repubblica, 10.07.2008).


In me hanno suscitato insieme un potente misto di rabbia e riso amaro. Perchè



  1. evidentemente i difensori della vita non hanno idea di cosa sia una vita che cresce: ogni mamma sa che non è possibile "obbligare" nessun bimbo a mangiare (tubo in gola? minacce?), casomai mandarlo a letto senza cena...

  2. checché i benpensanti cattolici ne possano dire, la nutrizione artificiale (altrimenti detta, non a caso, "nutrizione clinica") è una terapia, e per fortuna non è certo "ciò che si dà ad ogni persona". Come per tutte le terapia, le linee guida mediche invitano a considerare indicazioni e controindicazioni. Come per ogni terapia è precondizione per metterla in atto, quando è possibile, il consenso del paziente;

  3. e soprattutto, diavolo!, ha il tono di Piero Angela in "Quark"! Ma che paragone è? Sta parlando di vita, morte, persone, o sta facendo una lezioncina di biologia per la Scuola Media?! Mi risulta che faccia il prete: non sarebbe suo dovere calarsi almeno un po' in quelle viscere umane che il Cristo di Dio volle sue, per patire e gioire insieme a noi?


Contrappongo a queste le parole di Beppino Englaro (padre di Eluana), sulla pagina a fianco dello stesso quotidiano:


"La misericordia delle suore che la curano è ineccepibile, ma - mi scusi, a volte io parlo così - a loro stesse dicevo: "Se mia figlia potesse, vi prenderebbe a pedate". Loro ridevano, il mio grazie è sentito, ma finalmente possiamo dire basta, "no grazie"".


Sofferenza misurata, affetto, dolcezza, ironia, dignità. Grazia. Che ai difensori della Legge, evidentemente, è preclusa.